lunedì 18 marzo 2024

La fugheraza

MERZ

 

I burdell i corr da tut al perti

per armidiè tot quel cus po' brusè

La fugheraza l'è la festa de ba

enca se e Signurein un aveva propri un ba

San Giusep i là mess i lè – com a pos dì – 

per salvè la faza

Un era mega com adess che tal chesi

dal volti u iè du ba o du ma

e un's capess piò gnint

L'è al famei di malardot

e di malacumpagned !!  – la geva

la mi nona sla faza rabieda

 

 

 

La fugheraza l'a brusa l'inverni

e totta la roba vecia  e rinsichida

i sé la primavera la trova e post

per piantè i fior e ingravidè la tera

Di dè l'è un bisinin mat  

sol e piova is cor drè chi per chi zuga

Al doni- in bizicletta – sal suteni

l' it fa veda al gambi- li rid e ioc i brella

E mi ragazz ui vin e bal ad San Vit

 

MARZO

 

I ragazzini corrono da tutte le parti

per raccogliere tutto quello che si può bruciare

La focheraccia è la festa del babbo

anche se Gesù non aveva proprio un babbo

San Giuseppe l'hanno messo lì – come dire -

per salvare la faccia

Non era come adesso che nelle case

a volte ci sono due babbi o due mamme

e non si capisce più niente

Sono le famiglie dei mal ridotti

e dei mal accompagnati – diceva

mia nonna con la faccia arrabbiata

 

 

La focheraccia  brucia l'inverno

e tutte le cose vecchie e rinsecchite

così la primavera trova il posto

per piantare i fiori e ingravidare la terra

Dei giorni è un po' pazzo

sole e pioggia si rincorrono come se giocassero

Le donne in bicicletta - con la gonna -

ti fanno vedere le gambe – ridono e gli brillano gli occhi

E ai ragazzi viene il ballo di San Vito

 

venerdì 15 marzo 2024

Comunità

Comunità                        

 

Parrocchia, scuola, caserma, azienda, gruppi di scrittura; il bar, la società sportiva. Gerarchie ufficiali o spontanee, comunque presenti. Ruoli: il prete, il capoclasse, il maresciallo e i nonni, il direttore, l’insegnante. Quello più bravo a tresette, il capitano.

C’è quasi sempre anche una divisa, a volte obbligatoria.

Timore di non farcela, odio, invidia, gratitudine.

Il panno ruvido, dove cucire i gradi, lascia un sentore sulla pelle, che si può ritrovare nella penna o sui tasti del PC, anche se le mani sono ormai cariche di rughe.

Il senso di appartenenza è una storia a parte, probabilmente l’unico che si può definire libero arbitrio.

La comunità degli scrittori è un contenitore di emozioni a volte nascoste dentro troppe parole, altre rese essenziali dai versi.

Non so scrivere poesie e non sono capace neppure di leggerle, come ho già detto a qualcuno; eppure mi grattano la pancia: per me sono gli studi che non ho terminato, un libro che non ho il diritto di firmare.

La scrittura è un filo apparentemente sottile per reggere un manipolo disomogeneo, composto da pancette, capelli bianchi, teste pelate e tacchi a spillo; insicurezze e presunzioni quasi sempre sopravvalutate, ma è un filo di seta, tanto prezioso quanto tenace.

Le parole scritte animano scene dove pulsa potente l’amore o la sofferenza; le vie della scrittura sono piene di polvere che la penna solleva e, a volte, riesce persino a far sparire. Gli errori non sono dietro l’angolo, riempiono tutta la stanza, ma sono taumaturgici, capaci di trasformare l’ostinata resistenza di un foglio bianco in un campo di fiori.

La comunione dei fogli è come un podere antico, dove il grano maturava circondato dagli alberi di ciliegio; più vicino alla casa c’era l’orto e la stalla; non tutti hanno la delicatezza necessaria per far crescere pomodori e basilico, e neppure la forza per governare il bestiame, molti si devono accontentare di spaccarsi la schiena spingendo un aratro, senza capire bene cosa getteranno in quei solchi, ma il podere ha bisogno di tutti questi talenti per rimanere fertile.

 

Perdersi

Perdersi                     


In equilibrio precario, tra la scollatura e gli occhi, percorro sentieri tortuosi con un’unica certezza: mi sono perso.

I lampi di luce, che spero mi illuminino dopo aver superato ogni curva, restano illusioni, destinate ad aumentare il senso labirintico nel quale sono intrappolato. C’è un’altra certezza, che sancisce la mia impotenza rispetto a quale sarà il tragitto che mi aspetta: l’esperienza è un fardello inutile.

Così vago, travolto dalla passione, indeciso se approfondire la conoscenza carnale della scollatura o quella romantica degli occhi. Non scoprirò nulla che tu non abbia già deciso di rivelare alla mia mente immersa in un liquido denso di testosterone e, nel contempo, illusa da riflessi di poetica struggente, che credo si chiami amore. 

Continuerò a inoltrarmi in questo dedalo di emozioni, confondendo l’epidermide con l’estasi; cercherò nella tua indulgenza tracce della mia conquista e affiderò all’istinto la potenza della persuasione.

Vivremo momenti travolgenti, prima che tutto si cheti e mi riconduca verso un sentiero familiare, dove poter depositare il ricordo di ciò che è stato, aspettando che gli anni possano soppesarlo. 

In questa giungla di emozioni, arriverò dove il cervello inganna il corpo, convincendolo di essere quello che conduce la danza, sicuro che siano i tuoi occhi a essersi persi nei miei, mentre le tue carni si incendiano quando io lo voglio: sarà quello l’istante in cui solo tu potrai decidere quando potrò uscirne.

Ma questo mio perdermi vorrò viverlo e riviverlo, ogni volta che nuovi occhi sapranno incantarmi o una scollatura mi sembrerà profonda come un a poesia.

sabato 6 gennaio 2024

La benedizione romagnola


La benedizione romagnola

Cut vegna un colp, ci propri te? Cum vala? Ecco, i romagnoli sono gli unici al mondo che per augurarti ogni bene, possono mandarti un accidente, ma lo fanno con il sorriso e intendono il contrario. Dentro a questa strana abitudine ci sono valori sacri e profani: il romagnolo non si prende la licenza di benedirti, perché ritiene che, tale privilegio spetti unicamente al sacerdote, ma non vuole neanche attirare su di te la malasorte, pensando, per superstizione, che augurare il bene, porti sfiga.

I romagnoli non sono bestemmiatori incalliti, quello è un titolo che spetta ai toscani, ma credenti o atei che siano, rispettano il culto, probabilmente perché,” non si sa mai”. Comunque, il nostro gergo è infarcito di parolacce: organi sessuali e vaffa, arricchiscono spesso le nostre frasi, ma, quasi sempre, hanno un valore ironico, più che offensivo; non a caso, il nostro “pataca”, non è un vero insulto, come invece lo sono il milanese pirla, il ligure belin o il veneto mona; così anche il “ut vegna un colp”, è un modo per fare festa a uno che non si incontrava da tempo, una vera benedizione per allungargli la vita. Quelle ufficiali, come detto, il romagnolo le lascia impartire ai preti, anche perché, l’ultima benedizione, quelli la danno alla cassa da morto!

La fugheraza

MERZ   I burdell i corr da tut al perti per armidiè tot quel cus po' brusè La fugheraza l'è la festa de ba enca se e Signurein un av...