mercoledì 25 settembre 2019

CLAN-DESTINI

Le parole cadono sul lenzuolo. Consonanti e vocali fioccano dal nulla, danzano lievi nell'aria, brillano, attraversate dalla lama di luce che filtra dalla finestra, formano frasi, prima di depositarsi sul letto. Pensieri colmi di nostalgia, su un foglio di carta, comparso anche lui,  assieme alle parole, per darmi la certezza di non aver sognato. La mente corre  alla cena di ieri,  mezzo bicchiere di Pinot bianco non può avere  effetto allucinogeno.
Sono rientrata da Lampedusa carica di appunti. La camera dell'hotel che mi ospita  non ha nulla di magico. Il letto è piccolo ma comodo, le pareti  beige, l'armadio di legno chiaro. Sul soffitto una plafoniera anni Sessanta, sul comodino una abat-jour, sopra a un tavolino una piccola televisione nera. Nessuna telecamera, niente proiettori, né marchingegno strano. Le parole continuano a comporsi sul lenzuolo. Scosto la tenda di organza verde, guardo fuori. Tutto normale. Auto che si muovono in un serpentone noioso,  cielo con nuvole cariche di umidità. Promettono calura. Grondo di sudore. Vado in bagno. Mi chiudo dentro. Testa sotto al rubinetto.  Acqua fredda che scorre. Sfrego gli occhi, sciacquo la bocca. Rientro in camera. I capelli gocciolano sul pavimento, le sillabe sul letto.
Immobile attendo che tutto finisca, anzi  scompaia. La stanza è un forno. Fuori è anche peggio. Non c'è l'aria condizionata. Ho trascorso la notte con la finestra chiusa: Addosso solo la biancheria intima.  Non ho quasi chiuso occhio, mi si deve essere cotto qualche neurone. 
La camera  l'ha prenotata la segretaria di redazione. Dopo una trattativa durata alcuni mesi, il capo ha finalmente autorizzato la trasferta. Ho lavorato tanto, girato l'isola, intervistato chiunque incontravo,  anche alcuni scafisti. “CLAN_DESTINI” non è solo un'inchiesta, dovrebbe garantirmi riconoscimenti importanti. Non il Pulitzer, anzi sì. Quando ho iniziato questo mestiere, quindici anni fa, non pensavo ad altro. Il mio fidanzato di allora si stancò in fretta di sopportare i miei non orari, gli amori che sono seguiti, non hanno mai superato la soglia di un mese. Ora, a quarantacinque anni suonati,  ho ancora quel premio come sogno nel cassetto.
Apro di scatto quello del comodino, ci deve essere qualcosa, nascosto da qualche parte, che spieghi quello che sto vedendo. Ora è tutto fermo, le parole che volavano si sono composte, i caratteri sono “Times New Roman 12, corsivo.

Ciao, sono Fabio e scrivo dal futuro.Ti prego di non urlare, svenire o fare qualsiasi altra cosa che ti passa per la mente. Leggi solo, io cercherò di farti capire, magari non tutto, ma abbastanza per non farti pensare di essere pazza. Quando avevo trent'anni ho scoperto di avere una malattia incurabile, almeno nel 2019, allora ho preso una decisione estrema. Maddalena, la mia fidanzata, lavorava in un centro sperimentale dove congelavano le persone, per farle poi risvegliare quando quel tipo di malattia fosse stato debellato. Naturalmente non c'era nessuna garanzia, ma non avevo nulla da perdere. Devi sapere  che il mondo è sopravvissuto in questi mille anni, anche se quello in cui vivo oggi, tu non potresti comprenderlo. Capisco che la prima domanda a cui cerchi di dare risposta, sia come hai ricevuto questa lettera, quindi ti tolgo la curiosità: la scoperta di come fare viaggiare le cose nel tempo è vecchia di cinquecento anni. Però solo  verso il passato e solo cose, non persone. Il tele trasporto non esiste ancora. Sappi però che io ti vedo. Leggendo ciò che scrivo, accendi le singole lettere che diventano i miei occhi. 
Mi allontano dal letto e mi infilo il pigiama. Sento le guance avvampare e non dipende dall'afa. Cerco di dare un senso a questa follia. Bevo un bicchier d'acqua e faccio molti respiri yoga. Devo parlare con qualcuno. Prendo il cellulare dalla borsetta per chiamare il mio capo, ma mi blocco immediatamente. Già, cosa gli dico?  Ciao Alberto, cosa ne pensi se al posto dei clandestini ti porto un'intervista a un alieno?
Potrei chiamare qualcuno della reception, ma un foglio dove ci sono scritte cose assurde, non è sufficiente per rendere credibile un extra terrestre. Bene, sono impazzita, ma non stupida. Chiudo il pigiama fino all'ultimo bottone, poi indosso anche i jeans. Questa situazione è decisamente imbarazzante. Torno in bagno,  sistemo un po' i capelli, un filo di trucco sugli occhi e il lucida labbra rosa, ancora un'occhiata allo specchio, prima di rientrare in camera. Mi sento una stupida, ma meno nuda.

In realtà non è che io ti veda come puoi immaginare tu, non so chi sei, se uomo, donna, giovane o anziano, è semplicemente una percezione, una vibrazione che mi raggiunge quando tu leggi quello che ho scritto. Per farti capire meglio, so che hai interrotto la lettura e ora l'hai ricominciata, questo mi ha permesso di aggiungere queste righe che prima non c'erano.
Vorrei anche spiegarti perché la mia lettera è arrivata lì. Non sei tu il destinatario, ma la camera. Ė il luogo dove con Maddalena abbiamo trascorso l'ultima notte. Eravamo di ritorno da un viaggio che ci servì per allontanarci da tutti e prendere la decisione che ti ho già scritto. So perfettamente che di lei non c'è più nulla, ma il mio cuore è rimasto su quel lenzuolo. Così quando tu leggi, io rinasco allo stesso modo in cui il personaggio di un romanzo prende vita negli occhi di chi legge. Quindi continuerò a raccontarti la mia vita, ma non subito, prima sono certo che vorrai avere qualche altra informazione.
Ti dicevo che noi possiamo comunicare col passato, ma non interferiamo in nessun modo con la storia. Potremmo farlo, ma sarebbe catastrofico. La conoscenza e le scoperte necessitano di tempi adeguati. Inoltre, noi possiamo inviare messaggi o anche oggetti, ma voi non potete fare la stessa cosa. Non potremmo seguirvi nell'accelerazione dell'apprendimento, ogni errore provocherebbe danni irreparabili. Questa mia lettera sarà comunque per te un motivo di speranza, ma come puoi facilmente capire, anche uno strumento inutilizzabile. Insomma il mio è un puro atto di egoismo, ma rivivere il mio amore mi regala serenità.

Il caldo mi sta uccidendo, ma non sono sicura di volermi spogliare. Sono invece quasi certa di essere preda di qualche malattia rara. Interrompo nuovamente la lettura. Mi tuffo in internet. Cerco i sintomi di tutte le malattie mentali che mi vengono in mente. Come succede sempre, molti corrispondono. Allucinazioni, sudorazioni, eccitazione e frustrazione, mi pervadono. Sono sicuramente pazza. Una matta eccitata.
Mi rimetto in mutande, sicura di non rischiare molestie calate dal soffitto. Provo ancora a immaginare come utilizzare la lettera. Conosco qualcuno talmente fuori di testa capace di darmi ascolto? Esiste un modo per certificare quello che sta succedendo? Potrei usare il telefonino per fotografare questa pioggia di parole. Non credo funzionerebbe, le lettere scendono come nuvole trasparenti, difficile che possano essere catturate dall'obiettivo, inoltre sono incomprensibili in movimento. Chiunque potrebbe immaginare che le foto siano frutto di un trucco. 
L'impossibilità di fare qualcosa mi calma, mi permette di accettare la situazione.

Mi siedo sul letto con gli occhi chiusi. Penso a Fabio, cerco di immaginare il suo volto, annuso il lenzuolo cercando un afrore vecchio di mille anni. Mi sembra di sentirlo, è un profumo di carezze, è sapore di baci. Se fossi stata qui, al posto di Maddalena, ti avrei chiesto un figlio.

Peccati di gola




Aveva un senso innato per la leggerezza. Eppure sembrava burbero, incazzoso, imprevedibile, ma anche divertente. Diceva che le persone danno il meglio quando improvvisano. Ricordo infiniti episodi riguardo agli scherzi che faceva agli amici. Aveva il medesimo approccio con quelli che chiamava i fastidi della vita. Era un buongustaio, di quelli che assaggiano tutto. Col naso e con gli occhi, prima di appagare le mani e la bocca. A tavola  regalava allegria. Alla sua età avrebbe dovuto fare attenzione, ma non si curava delle conseguenze dei suoi eccessi. Fu quel piacere goloso che lo portò a sparire. Era uscito verso le cinque, come tutte le sere, in bicicletta. La moglie sapeva che sarebbe andato al bar per poi tornare all'ora di cena. Le ricerche non portarono a nulla. I carabinieri confermarono che era stato al bar fino alle sette e mezza, salutò la compagnia dicendo che andava a cena. Dopo quattro giorni mi trovai per caso a passare davanti ad una clinica privata, non lontana da casa. Vidi la bicicletta legata a un lampione. Era lì. Lo vidi scherzare col vicino di letto. Rimase sorpreso per la mia agitazione. Mi raccontò che si era abbuffato al ristorante. Sapeva che sarebbe stato male così, finito il pasto, aveva preso la bici e si era diretto alla clinica. Aveva voluto evitare a sua moglie il fastidio di chiamare un'ambulanza

La fugheraza

MERZ   I burdell i corr da tut al perti per armidiè tot quel cus po' brusè La fugheraza l'è la festa de ba enca se e Signurein un av...