giovedì 30 gennaio 2020

Serengheti

Un milione di gnu. Corrono. Corrono, mangiano e partoriscono. Dentro quel flusso migratorio inarrestabile, c'è tutta la vita della savana. Il fuoristrada è solo un minuscolo pezzo di ferro in mezzo alla mandria. E' come tuffarsi nel mare in burrasca. Le bestie, come le onde, sono tutte uguali e tutte differenti. Seguono le zebre, perfette capi scout, scartano all'improvviso per seguire il  binario della memoria. Si scornano. Gnu..gnu..gnu...Sembra ripetano all'infinito il loro nome. I piccoli distinguono il richiamo della madre tra milioni di versi sovrapposti. L'altipiano è immenso, macchie di verde si alternano a chiazze gialle. L'auto è più lenta delle bestie, più goffa nell'affrontare le buche. Ci superano facilmente, qualche animale ci sfida, punta le corna contro il parafanghi, poi  si allontana veloce. Rimbalziamo come birilli a ogni salto. In piedi, aggrappati ai ferri che sostengono il tetto rialzato, sbattiamo ginocchia, gomiti e testa per mantenere l'equilibrio precario e gli occhi fissi sulla vegetazione. Un piccolo cade sull'erba assieme alla placenta che lo conteneva. Sbatte il muso a terra e sa già tutto quello che  deve fare.  Gli avvoltoi, provvedono a far sparire  quella sacca ricca di sangue e nutrimento. Gli animali sentono che non siamo un pericolo e si limitano a schivarci. Guardiamo, contemporaneamente, vicino e lontano. Senza semafori, condomini e televisione, dobbiamo riadattare la vista. Un ciuffo d'erba diverso dagli altri fa sterzare bruscamente la nostra guida. Ghepardi.  Tre cuccioli e la madre ci osservano, pazienti. Stesi tra la vegetazione sono quasi invisibili, ma girano la testa in ogni direzione e ci offrono scatti indimenticabili.  
Le acacie sono il pranzo delle giraffe, foglie spinose a cinque metri da terra. Gli elefanti non ci temono. Colonne di Tir con diritto di precedenza.  
Breve sosta accanto a un baobab, sentinella imponente dal ciuffo punk. Una banana, un succo di frutta e un uovo sodo. Getto i pezzetti di guscio nell'erba. Hannate,  mi guarda. Occhi limpidi, marroni come la  sua terra. 
«Non devo?»  
Sorride. 
«Appena ce ne andiamo arriverà qualcuno a mangiare quello che hai buttato». La sua voce è  cordiale.  «Domani lo stesso animale tornerà qui a cercare lo stesso pasto. Tu ci sarai?» 
Il cielo ha cambiato improvvisamente colore. Nuvole cariche di pioggia si addensano sulle mandrie. Una seccatura, per noi, dobbiamo chiudere il tettuccio. Una gioia, per le bestie. Uno gnu si ferma a guardarci. Mi chiedo come ci vede, cosa siamo per lui. 
Acqua e fango non sono solo una pozza. Due facoceri la stanno osservando a distanza. Le loro orecchie diritte e i muscoli pronti a scattare, segnalano tre iene distese in quella melma.  I predatori non riposano mai, mai completamente. Guardano le colonne interminabili di erbivori come fossero davanti al banco del supermercato. 
Poco distante c'è un lago dove vedremo ippopotami, aquile, cicogne, avvoltoi e  ibis. Un'otarda.  Scimmie, facoceri, impala e gazzelle.  Un dik- dik pascola a fianco di una giraffa. Trenta centimetri contro cinque metri. Click. 
«Leoni!» 
«Dove?» 
«Sotto all'albero, un maschio e una femmina». 
Si accoppiano. Una settimana di digiuno e sesso sfrenato. Il maschio si alza, morde la compagna sul collo e poi si ributta sull'erba, stremato. Siamo a un metro di distanza, il leone non ci teme, sbadiglia per dimostraci il suo fastidio e, contemporaneamente, di quali armi dispone. Ce ne andiamo. Superiamo un branco di bufali e ci riavviciniamo alla colonna degli gnu. L'armonia della corsa appaga il desiderio di libertà. Il nostro zigzagare, al contrario, svela la frenesia, la paura di non stare al passo col nostro mondo, la bulimica necessità di bruciare tutto in fretta. Il centesimo elefante non lo fotografiamo neppure, guardiamo di sfuggita la ventesima giraffa, le gazzelle stanno diventando un tutt'uno con la vegetazione.
Ma il Serengheti non è un documentario già visto. Non ci si può stancare di guardare la vita.  Qui, rispettare la natura, non è un modo di dire, è l'unica convivenza possibile. 
Dietro a una giraffa si vedono sventolare dei rettangoli di stoffa. Un gruppo di Masai cammina nella savana. Un bastone e un drappo rosso. Dicono che il colore delle loro tuniche spaventa i leoni. Il passo è agile e tranquillo come quello delle bestie. Impossibile capire dove stanno andando.. 
Ancora una breve sosta. Un muggito ripetuto ci fa girare di scatto. Gnu...gnu...gnu. A metà strada tra la nostra auto e una mandria, c'è un piccolo che avrà due giorni di vita. Ripete il suo verso impaurito in attesa di una risposta che non può arrivare.  Cerca di capire chi di noi è la sua mamma. «Girati!» gli urliamo «sono dietro di te». Parole inutili. Insiste, gnu..gnu, due passi verso di noi, poi scappa, finalmente, nella direzione giusta. Non so cosa sia il mal d'Africa, forse ha a che fare con quello che abbiamo appena visto.

 Ultimi attimi di una corsa pazzesca, poi le tre bestie rotolano a terra. Polvere che si alza, muggito disperato, sangue. Due ghepardi abbattono la preda. Iniziano a divorarla  ancora viva.  La testa del felino, dentro al ventre dello gnu, fa si che la l'animale si muova, quasi fosse ancora vivo. Attorno, il pubblico non tarda ad arrivare. I primi sono gli sciacalli. La loro gracilità non incute paura. I due fratelli vorrebbero mangiare senza nessuno attorno. Guardano minacciosi i piccoli cani fregandosene delle loro pretese. Non farebbero la stessa cosa se arrivassero le iene. Dopo dieci minuti si sono talmente rimpinzati che faticano ad alzarsi. La loro linea, normalmente esile, sembra quella di chi si ingozza di hamburger e birra. Gli sciacalli insistono, i ghepardi restano ancora un po', minacciosi, giusto per chiarire chi è il più forte. Finalmente se ne vanno. E' il turno dei canidi, ma non fanno tempo a dare un paio di morsi che il cielo, sulle loro teste, si fa nero. Una ventina di avvoltoi piomba sulla carcassa. Gli sciacalli sanno di non poter resistere a lungo. Alternano morsi al cibo a rincorse  per tenerli a distanza. Gli uccelli diventano un lenzuolo nero impenetrabile.  Un vecchio cameriere con  un' enorme  pappagorgia, si avvicina alla scena. La cicogna marabù ha il becco lungo e diritto. Non è fatto per sminuzzare, così aspetta che gli avvoltoi facciano a pezzi  budelle e intestino per rubaglieli dal becco. 
Non c'è quasi rimasto più nulla. Solo un erbivoro in meno. Eppure se avessero l'istinto omicida dei loro predatori, potrebbero averne facilmente ragione. Potrebbero lanciarsi in massa contro al leone e per lui non ci sarebbe scampo. I bufali a volte lo fanno, ma non sempre. Credo succeda  quando i felini attaccano un figlio, ma il più delle volte guardano incuranti, chissà se vedono un concorrente in meno nella prossima gara per accoppiarsi. Probabilmente, se gli erbivori sterminassero i predatori, sarebbero troppi per una terra già sfruttata oltre il lecito.
Le nuvole se ne sono andate con la stessa velocità con cui sono comparse. Riapriamo il tettuccio. L'acquazzone ha rinfrescato l'aria e cancellato le macchie di sangue attorno a quel che è rimasto dello gnu. C'è un piccolo movimento tra l'erba. Uno stercolario, totalmente disinteressato a ghepardi sciacalli e avvoltoi, rotola la sua pallina.


lunedì 13 gennaio 2020

Gennaio

ZNER


U iè dal zurnedi sun sol cu m'inchenta
alora um ciapa la sfregla e a vag zò ma la paleda
Um pies camnè so e zò te mez a chi vec chi pesca
Sora chi scaranin i per imbalsamed
I se – per senza gnint – sal meni tal bascozi
aventi e indrè sa che vent giaz cum taia la faza.
E mer l'è ancora scur – agited
e sbat sora mi scoi e fa un scaramaz cu m'invurness.
I oc i taca a lacrimè – e nes e gozla
am sugh i murghent si guent, tent un s'incorz nissun.




L'è com a di ma l'inverni - dat na mosa
tod de caz
Me se capot e i calzun long an gni pos ste
Ho da met i pid tla sabia
i se a capes cus cum sfrogla tla penza
e quand ca guerd e mer um per da es du n 'enta perta

GENNAIO

Ci sono delle giornate con un sole che m'incanta
allora mi prende la fregola e vado sulla palata.
Mi piace camminare su e giù tra quei vecchi che pescano
Seduti sugli sgabelli sembrano imbalsamati
Così - senza un motivo - con le mani in tasca
avanti e indietro con quel vento ghiaccio che mi taglia la faccia
Il mare è ancora scuro – agitato
sbatte sopra gli scogli e fa un rumore che mi rintrona.
Gli occhi iniziano a lacrimare – il naso gocciola
mi asciugo il muco coi guanti, tanto non se ne accorge nessuno.


E' come dire all'inverno - datti una mossa
levati dal cazzo
Io col cappotto e i calzoni lunghi non ci posso stare.
Devo mettere i piedi nella sabbia
così capisco cosa mi gira nella pancia
e quando guardo il mare mi sembra di essere da un altra parte.

La fugheraza

MERZ   I burdell i corr da tut al perti per armidiè tot quel cus po' brusè La fugheraza l'è la festa de ba enca se e Signurein un av...