PREFAZIONE
di Lia Celi
La fluidità di genere non è solo prerogativa dell’identità
umana contemporanea quando contempla un percorso di vita
diverso da quello che si riteneva (e molti ritengono ancora)
scritto nell’ultima coppia di cromosomi. Anche un romanzo
o un racconto può essere, letterariamente parlando, di genere
fluido: un poliziesco che è anche una romantica storia d’amo-
re, una novella fantascientifica che è anche satira politica, una
fiction storica che ricostruisce un’epoca con l’esattezza di un
saggio. Le possibilità sono praticamente infinite. Spero che Ste-
fano non si offenderà se affermo che La schiuma del cappuccino
è doppiamente fluido. Non solo perché, senza spoilerare - pec-
cato mortale anche quando non si tratta di gialli -, inizia come la
classica storia di una sconfitta, il tracollo esistenziale di un padre
di famiglia di mezza età, e poi accoglie e mescola con sapienza e
discrezione sapori diversi: commedia, romance, storia d’azione,
esplorazione psicologica con più di un pizzico di filosofia prati-
ca. Ma mi pare che il suo romanzo sia fluido anche per un altro
motivo. Stefano è (non si offenda) un maschio bianco adulto
etero, ma nel suo romanzo manca la cifra che oggi caratterizza
lo storytelling di molti suoi colleghi: il vittimismo livoroso ri-
spetto a un mondo dove il suo predominio non è più dato per
scontato e l’autocommiserazione che si trasforma in nichilismo
distruttivo e misogino. Anche Gualtiero, il suo protagonista, è
un maschio in crisi, ferito inaspettatamente in ciò che più de-
finisce un uomo nella società occidentale – il suo lavoro, il suo
status, il suo reddito – e, in seconda battuta, deluso dal suo ma-
9trimonio. Ma piano piano quest’uomo (apparentemente) senza
qualità riesce a trovare in se stesso e nell’umanità che sa intrav-
vedere in tutte le persone che lo circondano, moglie fedifraga e
capa stronza e inavvicinabile comprese, la forza di indirizzare la
sua vita su un percorso più autentico, inesplorato e prometten-
te, affiancato dall’ombra di Black, ambiguo personaggio, che
con Gualtiero sembra condividere solo l’esperienza del licen-
ziamento. Sarà davvero così? Di nuovo, vietato spoilerare.
Stefano racconta una storia di rinascita esistenziale, insom-
ma. Un tipo di storia oggi di solito associamo a una penna, o a
una biografia, femminile, come se solo le donne, fisiologicamen-
te predisposte al dolore fecondo e vittorioso del parto, potesse-
ro credere davvero che dalla sofferenza possa nascere qualcosa
di buono. Come se per un uomo la reazione più nobile e virile
contro gli amletici «dardi dell’oltraggiosa fortuna» (un licen-
ziamento, un abbandono, un rovescio di fortuna) fosse sempre
l’autodistruzione. O, più spesso, la distruzione di una donna,
come purtroppo ci raccontano troppi fatti di cronaca.
Con uno stile asciutto ed elegante come una giacca di buon
taglio, e consistente come la schiuma di un cappuccino ben fat-
to, Stefano racconta, soprattutto agli uomini, che un altro mon-
do, un’altra mascolinità, è possibile. Che le mille sfaccettature
del femminile, comprese quelle meno stereotipate e compiacen-
ti, non sono una sfida né un pericolo, ma uno stimolo e una
ricchezza. Che la vita è un bowling, e tutte le nostre certezze
sono solo birilli a rischio di strike, ma la partita non finisce mai.
E che nelle pause c’è sempre un posto, come il bar Caveau,
dove incrociare le proprie imperfezioni con quelle di altri esseri
umani, uomini e donne, fragili e complicati, e sentirsi meno soli.
Magari sorseggiando un cappuccino piacevolmente dolceama-
ro, come questo romanzo.